Psichiatria
violenta - per le neo mamme?
Nel 1936, il Dott Antonio Egas Moniz,
Portoghese, praticò la prima lobotomia su un uomo. Questa tecnica
consisteva nella recisione dei lobi frontali della persona, attraverso
la trapanazione del cranio e la distruzione del tessuto connettivo presente.
Per questa tecnica, il Dott. Moniz vinse, nel 1949, il Premio Nobel
per la Medicina. C'è da raccapricciare!
Distruggendo i lobi frontali, la persona
non è più in grado, di fatto, di pensare e di essere persona.
Risulta sostanzialmente un vegetale che, molte volte, non è nemmeno
in grado di proferire parola o di riconoscere le persone, e nemmeno
di un sorriso del cuore o di un moto di sentimento.
Insomma, per più di 40 anni hanno
usato per curare distubi psichiatrici, una tecnica violenta, che toglie
alla persona tutto, la rende incapace di comprendere qualsiasi cosa.
Eppure, "scomparsi i sintomi", la persona era considerata
"guarita".
Anche tecniche come l'Elettroshock sono
da giudicarsi "barbare". Il nome tecnico è "terapia
Elettro Convulsivante" (TEC), perché consiste nel far passare
nel cervello corrente elettrica, in modo da provocare delle convulsioni.
Non so cosa gli Psichiatri Italiani Ugo
Cerletti e Lucio Bini avessero in mente, quando hanno praticato per
la prima volta questa tecnica su una persona, nel 1938.
Negli Stati Uniti la tecnica è
stata ampiamente utilizzata verso la metà degli anni 80, perché
era l'unica che permettesse la copertura assicurativa ospedaliera (incredibile!).
Oggi è ancora utilizzata. E si dice anche che viene utilizzata
in forme depressive nelle quali l'impiego di antidepressivi, anche per
diverso tempo, non abbiano ottenuto le risposte desiderate. Insomma:
si fa passare corrente elettrica nel cervello, sperando che cambi qualcosa.
Si provocano convulsioni nella persona per "curare"! Anche
qui c'è da trasalire.
Nel Film "Un Angelo alla mia Tavola"
di Jane Champion, la protagonista, presunta affetta da schizofrenia
(che poi si è dimostrato non essere vero) ha detto che, nel suo
ricovero in clinica, aveva subito oltre 200 elettroshock. Le sue parole
furono che di ognuno le "rimane un ricordo come di un'autentica
esecuzione".
Oggi non è più permesso
praticare un’intervento disumano quale la lobotomia, ma non è
stato ancora superato la violenza in psichiatria. Perfino uno psicofarmaco,
utilizzato in modo incongruo, può avere effetti devastanti molto
simili.
Basterebbe girare un pò nelle
Cliniche Psichiatriche per vedere sovente persone camminare come "Zombie",
senza nemmeno rendersi conto di dove sono. Questo è dovuto all'uso
di diversi farmaci, in particolare, i cosiddetti "Neurolettici",
il cui nome deriva dal Greco e significa "afferrare il Neurone".
Sono farmaci che inducono una diminuzione della dopamina, un neurotrasmettitore
fondamentale.
La dopamina è
fondamentale per diversi processi dell'organismo. Dal punto di vista
mentale, è legata a tutta l'ideazione ed al pensiero logico.
Quindi diminuire questo neurotrasmettitore può aiutare quelle
persone che sono assalite da valanghe di pensieri, che in qualche modo
li fanno stare male, magari con la sensazione che questi pensieri possano,
in qualche modo, danneggiarli, anche se sono soltanto idee. Ma tutto
ciò, solo se la diminuzione dei neurotrasmettitori non è
eccessiva, infatti assunti a dosi elevate, questi prodotti rendono la
persona incapace di pensare, di formulare qualsiasi
pensiero. In tal senso, la persona diviene quasi un vegetale, che non
riesce a pensare a nulla.
Inoltre, la dopamina è anche responsabile,
a livello muscolare, del movimento fluido. Il Morbo di Parkinson, infatti,
è una patologia in base alla quale il cervello produce molta
meno dopamina (la produzione di dopamina è inibita). Ne risulta
un continuo tremito, un’incapacità ad afferrare gli oggetti,
ed una difficoltà nel muoversi in maniera fluida. Perciò
i neurolettici, inibendo la dopamina, provocano effetti simili
a quelli del Morbo di Parkinson.
Chi viene trattato con alte dosi (o anche
medie) di questi farmaci, comincia ad accusare tremiti, difficoltà
di movimento, rigidità muscolare e così via. Eppure, la
comparsa di effetti come questi è, per alcuni psichiatri, il
sintomo di riuscita della cura. Due Psichiatri Francesi,
Delay e Deniker, dicevano che occorre somministrare ai pazienti affetti
da schizofrenia dosi crescenti di neurolettici (loro si riferivano alla
Cloropromazina, il primo neurolettico scoperto da Henri Laborit) finché
non compaiano in modo massiccio i sintomi del Morbo di Parkinson.
Talvolta, però (e sono casi frequenti),
la persona non accetta questi sintomi. Ne deriva, di conseguenza, un
rifiuto dei farmaci, anche violento ed aggressivo nei confronti di chi
li somministra. In tal caso, diversi psichiatri deducono che la cura
è troppo "blanda", e rinforzano ulteriormente la dose
del farmaco. In tal modo, la persona diviene del tutto incosciente anche
della condizione in cui si trova.
La definizione di salute che credo sia
oppurtuno considerare, è quella di ridonare alla persona serenità,
ed in particolare la possibilità di fare ciò che sente
bello e vero per lui. Queste "cure", direi che ne sono ben
lontane. Nella psichiatria tradizionale una persona si ritiene curata
quando è “più tranquilla” cioè senza
personalità, apatica, amorfa ed incapace di fare qualsiasi cosa.
Ma tranquillità, secondo me, vuol dire gioia, armonia, serenità,
visione chiara delle cose. Questo, secondo me, non è curare.
E nemmeno togliere i sintomi. E' soltanto togliere alla persona il suo
essere persona.
Gli psicofarmaci ad alto dosaggio distruggono
inoltre l'affettività e fanno sì che la persona non possa
più godere nulla della vita. Una persona trattata con questi
farmaci, infatti, potrebbe avere la più bella notizia della sua
vita e rimanerne indifferente. Gli psicofarmaci tolgono ogni sensazione
e reazione alla vita, e creano anche disgusto nei confronti degli altri,
con i quali non si riesce più ad interagire. La persona termina
in un isolamento dal Mondo e dalle Cose. Sul suo volto non vi saranno
più sorrisi. Eppure, è "curato".
Oltre ad inibire la Dopamina, gli psicofarmaci
vanno anche ad agire sulla Prolattina. Questo è
un ormone che favorisce la lattazione, e che negli uomini blocca lo
stimolo sessuale. La secrezione di prolattina è inibita dall'eccitazione
dei neuroni che contengono dopamina. Dove vengono somministrati neurolettici,
la prolattina è di conseguenza molto alta. Le donne possono in
tal caso secernere latte come se fossero gravide, mentre gli uomini
spesso sviluppano impotenza, anche permanente. Quindi, nemmeno più
la sessualità. Eppure, queste sono "cure!".
La cura è togliere i sintomi
o ridare benessere? Entrambi, direi! Ma qui ci si scontra con
il "dramma" di una cura che toglie soltanto i sintomi, ma
che non dona alcun benessere. Si può definire cura un trattamento
che riduce una persona ad un vegetale, e che lo priva di ogni sensibilità
umana, e del godere della vita? I sintomi della dissociazione, è
vero, sono scomparsi, ma è scomparso anche tutto il resto! Abbiamo
di fronte a noi una persona che non è più persona, ma
è "guarita". Credo che qualcosa non funzioni, in tutto
questo!
All’inizio di giugno 2010, Giorgio
Vittori, presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia
ha scritto al Ministro della Salute Fazio: "Alla luce del recente
fatto di cronaca che ha visto una giovane madre di Passo Corese (Rieti)
uccidere il proprio figlio di pochi mesi, proponiamo al ministro della
Salute Ferruccio Fazio di applicare la procedura del Tso (Trattamento
sanitario obbligatorio) extraospedaliero per le donne affette da depressione
post partum, a rischio di infanticidio".
Una richiesta sconvolgente e senza senso
e lo dimostra proprio il fatto di cronaca che ha scaturito il tutto:
“Una mamma, in provincia di Rieti getta dalla finestra la
sua bimba di pochi mesi per la depressione post-partum”.
Quello che la maggior parte dei giornali si “dimentica”
di scrivere è che la donna in questione non rifiutava le cure,
né tantomeno non ammetteva di avere un problema. La donna in
questione era in cura psicofarmacologica, cioè
l’abbinamento della psicoterapia e di una terapia farmacologica
a base di antidepressivi. Peccato che nessuno le ha detto che tra i
possibili effetti collaterali degli antidepressivi ci siano il peggioramento
della depressione e la comparsa di sintomi di autolesionismo, ostilità
e l’ideazione e comportamenti suicidari.
Sicuramente persone di questo tipo hanno
bisogno di aiuto. Che però deve arrivare "prima" che
succedano fatti di questo tipo.
Il Parto mobilita molte energie interiori.
Quindi, in alcuni casi, la madre potrebbe non sopportare energie di
questo tipo ed avere delle crisi anche di una certa portata. Aiuto significa
dare a questa persona tutto il supporto necessario per far sì
che la madre possa affrontare questi momenti con la giusta serenità.
Quella serenità che da sola può far comprendere quello
che la persona si trova a dover affrontare.
La "Linea Dura", in questo
caso, è un modo per far sì che una struttura non si assuma
nessuna responsabilità, ma che rifugga da quelle che sono le
sue prerogative: quelle, cioè, di aiutare.
Decidere che una persona ha bisogno di
aiuto va bene. Ma decidere che la persona deve, di forza, essere sottoposta
a vere e proprie "torture farmacologiche" che gli tolgono
umanità, questo è un altro discorso davvero! Il problema,
infatti, non è decidere che la persona "ha bisogno"
di cure. Se ci fosse una struttura di aiuto umana, che permette di aiutare
la donna a superare momenti critici, allora andrebbe bene.
Ma purtroppo, i metodi utilizzati sono
ben lontani da questi. E quello che viene proposto è un metodo
violento, basato sulla privazione di quello che è il diritto
della persona di essere Donna rendendola un vegetale. Questo è
ciò che lo Stato propone. E su questo occorre opporsi, e far
conoscere a coloro che, magari ignari e senza un'adeguata conoscenza,
appoggiano questi metodi e queste modalità.
Mentre una cura ed un aiuto dovrebbe
aiutare a recuperare umanità.
Decidere che una persona ha bisogno di
aiuto significa far sì che debba essere aiutata a ritrovarsi,
a comprendersi, a capire sé stessa ed il suo ruolo nel mondo.
Credo che la cosa valga per tutti. E
dovrebbe essere così in ogni caso. Anche nel caso di una persona
che viene rinchiusa in prigione. Dovrebbe essere aiutata a capire e
a capirsi. Invece, spesso, tutto questo è soltanto un modo per
eliminare il problema, per far sì che non si pensi al problema
stesso, per togliere di mezzo qualcosa di scomodo.
Sicuramente una madre in difficoltà
ha bisogno di aiuto. Prima.
In Italia le strutture che dovrebbero
pensare a supportare/aiutare la neo-mamma, non lo fanno, non assumendosi
quindi alcuna responsabilità, ma nello stesso tempo propongono
metodi violenti come quello di un TSO, soprattutto perché ben
sappiamo quali "cure" saranno somministrate. E con quale "umanità".
E' davvero incredibile notare come strutture
che dovrebbero occuparsi di aiutare le madri che hanno bisogno di aiuto
non lo forniscano ed invochino la repressione. Un modo per non assumersi
alcuna responsabilità. Cosa che purtroppo appare molto diffusa,
nei comportamenti di alcune persone!
Un augurio perché invece
tutti voi possiate sempre comprendere che assumersi responsabilità
è importante e soprattutto, che è fondamentale portarle
avanti.
Claudio Capozza MBBS (Italy), Naturopathic Doctor (Australia)
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